Canosa di Puglia è una città a lunghissima continuità di insediamento. La leggenda vuole che sia stata fondata da Diomede, un guerriero della mitologia greca diventato, dopo la caduta di Troia, l’eroe del mare e della diffusione della civiltà greca sulle coste del Mar Adriatico. I primi insediamenti rinvenuti nel suo territorio risalgono al Neolitico, 6.000 – 3.000 a.C., e si riferiscono a campi di nomadi dediti alla pastorizia. In seguito fu culla della civiltà Daunia, Ellenistica, Romana, fu conquistata dai longobardi, dai bizantini, dai normanni e da Federico di Svevia. Tutte queste civiltà hanno lasciato uno sterminato patrimonio storico archeologico profondamente stratificato: non è raro nel corso di uno scavo trovare testimonianze architettoniche di epoche diverse.

Tale particolarità è dovuta alla conformazione geologica del sottosuolo, la Calcarenite di Gravina che ha permesso la costruzione in tufo delle dimore giunte fino ai giorni nostri, poche, e lo scavo dei complessi sepolcrali. Questi complessi, gli ipogei, hanno avuto diversa sorte; i ritrovamenti più importanti riguardano sontuose sepolture con i loro corredi di armi, di ceramica a figure rosse, di vasi a decorazione plastica e policroma e di manufatti aurei. Un esempio di ipogeo scavato nel tufo è l’Ipogeo Varrese che ha restituito un importantissimo corredo funerario custodito nel museo Archeologico Nazionale di Canosa.

Ipogeo Varrese © Comune di Canosa di Puglia

Oggi però non voglio parlare della storia archeologica di Canosa, ma di una storia più recente: l’affermarsi, nell’ottocento, di una nuova borghesia che traeva le sue ricchezze dall’agricoltura e dal commercio di prodotti agricoli e dei suoi derivati, principalmente olio e vino, e dal taglio e commercializzazione del tufo. Eredità di questa borghesia fu la costruzione di numerosi palazzi patrizi che, nelle loro fondamenta, nascondevano delle grotte. Queste grotte erano, in realtà, le cave di tufo destinato alla costruzione dell’abitazione sovrastante e restavano nella proprietà della famiglia proprietaria dell’immobile. Al contrario delle gallerie poste a 15-20 m di profondità riservate ad attività estrattive più intense e ad uso edilizio e commerciale ubicate al di fuori del perimetro urbano, queste erano più superficiali raggiungendo originariamente i 5-6 metri di profondità ed erano presenti nel centro cittadino. (cfr. Canosa di Puglia sotterranea: uso delle calcareniti dalle cave al manufatto).

Purtroppo questi palazzi sono in larga parte scomparsi “grazie” al sacco edilizio degli anni ’60-’80 del secolo scorso (ne parlo qui) che ha cancellato l’architettura ottocentesca dell’abitato di Canosa sostituendola con condomini di dubbio gusto estetico. Alla fine di questo indegno processo, per una città con la storia di Canosa, è rimasta l’eredità di un centro cittadino senz’anima in cui palazzoni anonimi la fanno da padrone, punteggiati da quei pochi palazzi storici, scampati alla demolizione, che rimandano ad un passato in cui si faceva a gara per abbellire la città con architetture ricercate. Qui sotto un esempio eclatante di tale sfregio: Piazza Boemondo negli anni ’30 con il maestoso Palazzo Sinesi e oggi con il mega condominio costruito tra il 1969 ed il 1970.

Terminata l’attività estrattiva del tufo necessario alla costruzione dei palazzi sovrastanti, le grotte continuavano la loro vita diventando depositi per la conservazione di vino, olio e derrate alimentari. Le cavità sopravvissute alla intensa opera di cementificazione del centro cittadino sono davvero poche, alcune anche mal conservate, e purtroppo non sono facilmente fruibili da cittadini e turisti.

Un encomiabile contributo alla conoscenza di questo patrimonio nascosto arriva dall’Associazione Fotografica Canosina che in una delle sue campagne fotografiche ha visitato le grotte sopravvissute alla furia cementificatrice dei palazzinari per restituirci delle immagini di grande suggestione.

Qui possiamo ammirare la Grotta della famiglia Azzellino immortalata da Aldo Casamassima.

La temperatura costante assicurata dal tufo e dalla profondità permise lo sfruttamento delle grotte per lo stoccaggio di vino, in botti di legno di diversa capienza, olio, dapprima negli orci di terracotta e poi nei fusti in ferro, e derrate alimentari.

La storia delle grotte canosine è legata a filo doppio alla storia delle “carovane ” dei brendatori comunemente chiamati facchini, di fatto delle cooperative ante littram, cui era affidata la movimentazione dei recipienti contenenti principalmente vino o olio. Gli operai assicurando delle corde agli anelli posti sulla soglia della grotta facevano rotolare i contenitori che si appoggiavano lungo gli scivoli laterali. Era un’operazione particolarmente faticosa soprattutto quando era necessario portare i contenitori al piano strada per lavaggi o riparazioni. I gradini posti al centro dei due scivoli permettevano ai facchini di accompagnare la salita o la discesa dei fusti con le corde.

Recentemente la grotta sottostante la Cantina Diomede è tornata alla sua antica vocazione di bottaia. Qui infatti sono conservate le barrique e le bottiglie per l’affinamento dei vini prima della commercializzazione.

Qui la Grotta della famiglia Mosca, anche questa immortalata da Aldo Casamassima.

L’auspicio dell’Associazione Fotografica Canosina è far rivivere le grotte in una mostra fotografica da organizzare appena le misure di contenimento della pandemia lo permetteranno. Un’iniziativa che potrebbe riaccendere l’attenzione su un patrimonio, ormai dimenticato, che è parte integrante della storia di Canosa. Inoltre sull’esempio di quanto succede in altre città, qui Santarcangelo di Romagna, si potrebbe iniziare ad immaginare un futuro per queste grotte che i nostri antenati hanno costruito con tanta fatica.

12 marzo 2021 | © Canusium Chronicles

Questo articolo non avrebbe potuto essere scritto senza la collaborazione dell’Associazione Fotografica Canosina ed in particolare di Aldo Casamassima, delle Famiglie Mosca e Azzellino e delle Cantine Diomede che hanno acconsentito alla pubblicazione delle immagini. A tutti va il mio affettuoso ringraziamento.

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7 risposte a “Le grotte di Canosa: un patrimonio perduto.”

  1. […] post “Le grotte di Canosa: un patrimonio perduto” ho parlato, incidentalmente, del sacco edilizio di Canosa avvenuto negli anni 60′-80 del […]

  2. Complimenti, scrivi degli articoli molto interessanti

    1. Grazie Sergio!

  3. […] anche da alcuni articoli di questo blog in cui ponevo l’attenzione, ad esempio, sulle grotte, sulla memoria dei palazzi storici ormai demoliti o ancora sui murales che pian piano abbeliscono […]

  4. […] considerazione: “Le grotte di Canosa: un patrimonio perduto” il più letto del 2021 si piazza anche tra i primi dieci del 2022 (ho scelto però di non inserirlo […]

  5. […] marzo 2021 nel post “Le grotte di Canosa: un patrimonio perduto” raccontavo la storia delle cavità antropiche, per i canosini “le grotte”, presenti nel […]

  6. […] i posti scritti negli anni precedenti. I più letti: Un insolito viaggio tra i murales di Canosa e Le grotte di Canosa: un patrimonio perduto pubblicati nel 2021, quasi degli […]

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