Premessa: questo post ha un lungo prologo prima di arrivare al punto cruciale e nasce dalla vastissima eco mediatica che ha avuto la notizia del ritorno in Italia di 21 vasi Apuli risalenti al IV sec. a.C., trafugati in Puglia e infine approdati in Germania all’Altes Museum di Berlino che li acquistò nel 1984 per tre milioni marchi tedeschi: circa due miliardi di lire al cambio dell’epoca.
Indice dei contenuti
- La storia del sequestro nei Porto Franco di Ginevra e Basilea
- I vasi Canosini
- Il Museo Archeologico Nazionale di Canosa a Mazzini: un silenzio assordante
La storia del sequestro nei Porto Franco di Ginevra e Basilea
La storia ha inizio nel lontano 1995 quando i Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale in collaborazione con le autorità svizzere, a seguito di un’inchiesta coordinata dal P.M. romano Paolo Giorgio Ferri, scoprono in diversi magazzini dei Porto Franco di Ginevra e Basilea uno strabiliante deposito di reperti archeologici di provenienza illecita. “I numeri sono impressionanti: il sequestro è composto da 8.616 reperti, dei quali nel 2009 ne arrivano a Roma 7.448 per l’esecuzione della perizia. Degli altri 1.168, 68 ne rientrano in Italia nel 2014, mentre gli altri restano a disposizione del Giudice svizzero, perché non provenenienti dall’Italia.” (cfr. Tsao Cevoli – “Storia senza voce” – Centro per gli Studi Criminologici Giuridici e Sociologici)
Fu sequestrata anche una ricchissima documentazione fotografica, principalmente istantanee Polaroid, che ritraeva i reperti archeologici appena scavati dai tombaroli e pronti per essere immessi nel mercato illegale. Grazie al lavoro di due archeologi forensi, Maurizio Pellegrini e Daniela Rizzo consulenti della Procura romana, si è riusciti ad identificare buona parte dei reperti fotografati e ad avviare le procedure internazionali per farli rientrare in Italia.
Tra i reperti fotografati figurava anche un Trapezophoros, ridotto in pezzi e riposto nel bagagliaio di un auto, composto da una coppia di Grifoni che sbranano una cerva, realizzato in marmo di Afrodisia; oggi conosciuto come i Grifoni di Ascoli Satriano. Il Trapezophoros, la base di una mensa rituale del IV sec. a.C., era stato comprato dal Getty Museum di Los Angeles per 5,5 milioni di dollari al termine di una triangolazione tra vari mercanti d’arte studiata per celare l’effettiva provenienza illecita del gruppo marmoreo. Qui, dall’inizio, la storia del rientro in Italia dei Grifoni.

I due archeologi forensi notarono anche che 4 dei 21 vasi apuli esposti all’Altes Museum di Berlino erano raffigurati in 13 Polaroid che portano lo stesso numero di serie dei Grifoni di Ascoli Satriano. Questa coincidenza fa supporre che sia i Grifoni che i vasi provengano dalla stessa tomba.

A fronte delle evidenze investigative, dopo una trattativa diplomatica durata diversi anni, lo scorso 13 giugno è stato firmato, a Berlino, alla presenza del Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, del Ministro della Cultura tedesco, Claudia Roth, e dell’Ambasciatore d’Italia a Berlino, Armando Varricchio, un accordo per la restituzione di 25 oggetti di provenienza italiana appartenenti alla Fondazione per l’Eredità Culturale della Prussia (SPK) presieduta da Hermann Parzinger e attualmente esposti presso l’Altes Museum nella sezione della collezione di antichità classiche.
Tra questi i 21 vasi apuli: i Crateri di Persefone e della Gigantomachia attribuiti al cosiddetto Pittore dell’Oltretomba (suo anche l’omerico Priamiden-Krater, cratere a volute con anse a mascherone) della cerchia del Pittore di Dario, al quale sono invece da ricondursi i Crateri di Phrixos e di Rhesos, rispettivamente ispirati alla mitologia e al teatro tragico. Nel gruppo sono presenti anche opere del Pittore di Varrese e del Pittore di Copenhagen.
Questa in estrema sintesi la storia dei vasi dell’Altes Museum. Un grandissimo contributo alla conoscenza di questa indagine è il libro I predatori dell’arte perduta di Fabio Isman che ripercorre tutti gli atti dell’inchiesta e ci porta nel mondo del traffico clandestino dei reperti archeologici che da sempre ha nell’Italia il suo principale bacino di approvvigionamento.
Un saccheggio che, secondo una stima fornita dall’Università di Princeton, solo nell’ultimo cinquantennio ha privato il nostro Paese di almeno un milione e mezzo di reperti.
I vasi Canosini
Tra i 7516 reperti archeologici sequestrati tra Ginevra e Basilea. non poteva mancare un numerosissimo gruppo di vasi di manifattura canosina: le ceramiche a decorazione plastica policroma.




E qui la storia prende una piega diversa: mentre i Grifoni sono tornati ad Ascoli Satriano, dove si presume siano stati scavati, e dove saranno raggiunti dai vasi dell’Altes Museum di Berlino, a Canosa non è tornato nulla, neanche un frammento dei tantissimi vasi di produzione canosina certa sequestrati a Ginevra e Basilea ed in altre operazioni dei Carabinieri del Nucleo TPC.
Sommando le confische dei reperti sequestrati in Svizzera e in Belgio (ne ho scritto qui) ed a seguito di altre inchieste si tratta di centinaia di oggetti di importantissimo valore archeologico dispersi nei musei di tutta Italia: ovunque tranne che a Canosa.
Da febbraio 2019, ad esempio, presso il Chiostro del Convento di San Domenico, sede della Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo di Taranto, è possibile visitare la mostra “TesORI clandestini – dal saccheggio alla valorizzazione”: una vasta esposizione di reperti archeologici, risultato di confische a favore del MiBAC, intervenute al termine di attività di indagine condotte negli anni dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale.
Tra questi spiccano venti reperti ceramici, scelti tra quelli sequestrati in Svizzera nel 1995 e successivamente confiscati, e tra questi venti reperti spiccano i vasi a decorazione plastica canosina (notare come si indichi genericamente area dauna il territorio di provenienza piuttosto che Canosa come indicazione del luogo di produzione).




Non si conoscono i motivi di questo ennesimo vulnus ai danni del patrimonio archeologico canosino oggetto delle scorrerie dei tombaroli sin dalla seconda metà dell’ottocento. Tantissimi i reperti archeologici scavati clandestinamente e giunti attraverso l’opera di commercianti senza scrupoli nei più importanti musei del mondo. Qui mi sono occupato di due nereidi di terracotta esposte al Louvre.
Una ipotesi potrebbe essere data dalla scarsità di spazi espositivi presenti nell’attuale sede del Museo Archeologico Nazionale di Canosa che non permetterebbe l’arrivo di altri reperti archeologici. Ma è solo una mia ipotesi.
Il Museo Archeologico Nazionale di Canosa a Mazzini: un silenzio assordante
E ora entriamo nel tema di questo post. Il 1° dicembre 2023 ho pubblicato un post sull’avvio dei lavori di riqualificazione dell’edificio “Mazzini” per poter accogliere in una sede prestigiosa il Museo di Canosa.
Stando ai pannelli informativi esposti nell’attuale sede del Museo, a Palazzo Sinesi, i lavori avrebbero dovuto iniziare a febbraio 2024 ma ad oggi, e siamo a metà luglio, non vi è traccia di questo inizio. Mancano le notizie ufficiali sui motivi di questo ritardo nel silenzio assordante degli Enti preposti alla sua realizzazione (Direzione Musei Puglia, Amministrazione Comunale, Soprintendenza ecc.) e delle tante associazioni canosine che dicono di interessarsi allo sviluppo turistico di Canosa.
Fa soprattutto rumore il silenzio della Fondazione Archeologica Canosina, principale attore in tema archeologico a Canosa. Silenzio ancor più incomprensibile considerando che la Fondazione, con la Pro Loco ed altre associazioni, nel 2013 promosse una raccolta firme sull’allocazione di una nuova sede museale e il risultato fu che oltre 4.000 cittadini si espressero a favore dell’edificio Mazzini. Sembra quasi che, a undici anni di distanza, la Fondazione Archeologica Canosina non abbia più a cuore le sorti di un prestigioso contenitore che possa accogliere in spazi adeguati le collezioni ora presenti a Palazzo Sinesi e altri reperti sparsi ovunque comprese le ceramiche di manifattura canosina oggetto di confisca nelle varie inchieste della magistratura.
Stupisce anche il silenzio di quella parte di opposizione che nella scorsa consiliatura ha amministrato la città ( i consiglieri del M5s) e che grazie all’intenso lavoro svolto a seguito dell’Accordo di Valorizzazione del Patrimonio Storico Archeologico di Canosa aveva recepito il finanziamento necessario ai lavori di rifunzionalizzazione dell’edificio Mazzini per poter accogliere la nuova sede del Museo.
Come abbiamo visto mentre Ascoli Satriano va via via arricchendosi di straordinari reperti archeologici, confiscati all’estero, e si avvia a diventare uno dei musei più importanti del territorio, a Canosa tutto tace nell’indifferenza generale.
Sabino D’Aulisa © Canusium Chronicles 12 luglio 2024

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