Il riesame dell’A.I.A. S.OL.VI.C.

Il 17 agosto scorso, la Provinicia di Barletta – Andria – Trani ha adottato determinazione dirigenziale di conclusione positiva, del procedimento di rinnovo e riesame dell’Autorizzazione Integrale Ambientale relativa all’installazione ubicata in Canosa di Puglia, contrada Tufarelle, della Società S.OL.VI.C. s.r.l..

Il riesame dell’Autorizzazione di Impatto Ambientale richiesto dalla S.OL.VI.C. si è concluso dopo la convocazione di tre conferenze di servizi tenute presso la Provincia BAT, nelle quali il Comune di Canosa ha sempre espresso la sua contrarietà al rinnovo/riesame, confermando integralmente i pareri espressi in ogni CdS.

La questione S.OL.VI.C. è particolarmente complessa. Per avere contezza del suo evolversi occorre risalire all’autorizzazione rilasciata nel 2009 che prevedeva la movimentazione dei reflui che pervenivano all’impianto ma, dagli accertamenti svolti dagli organi di controllo si rileva che tale tale movimentazione non è avvenuta.

L’ISPRA in una verifica del 20 marzo 2018 evidenziava che i reflui presenti nell’impianto non sono stati oggetto di movimentazione e che pertanto l’impianto, come più volte fatto notare anche in procedimenti innanzi alla giustizia amministrativa, si configura come area di stoccaggio che si protrae ormai da oltre 12 anni assimilandolo ad una discarica secondo le disposizioni vigenti. Infatti il D.Lgs. n. 36/2003 definisce come discarica qualsiasi area dove i rifiuti sono sottoposti deposito temporaneo per più di un anno.

Il rinnovo dell’A.I.A. non tiene conto di questa violazione delle prescrizioni dell’autorizzazione del 2009 ma concede alla S.OL.VI.C. ulteriori tre anni per procedere allo svuotamento dei bacini attraverso la movimentazione di reflui.

Inoltre l’impianto S.OL.VI.C. entra anche nel processo denominato “Petrolgate” ovvero nel processo penale partito a seguito della maxi inchiesta avviata dalla Procura di Potenza per il presunto traffico di rifiuti pericolosi prodotti dagli impianti petroliferi dell’Eni di Viggiano.

Qui non si entra nel merito della vicenda giudiziaria incardinata presso il Tribunale di Potenza dove il processo è ancora in corso, ma si sottolineano alcuni aspetti..

Spiega il Gip Petrocelli nell’ordinanza del 29 marzo 2016: “Negli anni 2013- 2014, l’Eni ha smaltito quasi 600mila tonnellate di rifiuti pericolosi utilizzando un codice CER falso – il CER 16 10 02, che comportava un costo di 33,01 per tonnellata – e comunque diverso da quelli che avrebbero dovuto essere applicati – ossia CER 19 02 04* e 13 05 08*, che comportavano costi superiori e ricompresi tra i 40 ed i 160 euro – consentendo ad Eni un risparmio sui costi di smaltimento che variano dai 10 ai 40milioni di euro.”

Nella relazione del consulente della Procura, il chimico Mauro Sanna evidenzia che: “Nel solo anno 2014, la ditta Solvic srl ha smaltito 4.365,94 tonnellate di rifiuti con il falso Codice CER 16 10 02. Quello corretto è il CER 19 02 04*, per il quale la ditta non era autorizzata. (…) “Il Codice indica ‘miscugli di rifiuti contenenti almeno un rifiuto pericoloso’. Il miscuglio è dato, oltre che dalle cosiddette acque di strato, anche da altri reflui contaminati dalle sostanze utilizzate nei processi purificazione del gas naturale, nei processi chimici dello zolfo e nei processi di desolforazione. Le sostanze contaminanti sono: metildietanolammina (Ammina) e glicole trietilenico”.

In particolare dalla consulenza del CTU della Procura di Potenze emerge che:

  • All’interno del ciclo lavorativo del COVA di Viggiano avviene una miscelazione di rifiuti non autorizzata tra le acque di strato e i vari reflui che si generano dai singoli processi;
  • ENl ha assegnato al suddetto miscuglio di rifiuti il codice; CER 16 10 02 (soluzioni acquose· di scarto diverse da quelle di cui all CER .161001*) mentre il CER individuato dal consulente è il codice pericoloso 19 02 04* (miscugli di rifiuti. contenenti almeno un rifiuto pericoloso);
  • Le acque di. contro-lavaggio sono state arbitrariamente classificate dall’ENI con i codici CER residuale 16 10 01* – soluzioni acquose di scarto contenenti sostanze pericolose – (in passato) e 16 10 02 (soluzioni acquose di scarto diverse da quelle di cui al CER 161001*), a fronte del codice CER pericoloso 13 05 08* (Miscugli di rifiuti delle camere a sabbia e dei prodotti di separazione acqua/olio), individuato dal consulente.

Dall’assegnazione dei codici CER non idonei alla corretta classificazione dei rifiuti, discende che i rifiuti non correttamente classificati siano stati gestiti in violazione delle regole vigenti in materia, cioè in maniera non conforme ai precisi dettati normativi in materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti.

Dell’inchiesta “Petrolgate” e dell’illecito smaltimento dei rifiuti pericolosi dell’ENI, se ne è occupata anche la “Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle Attività Illecite Connesse al Ciclo dei Rifiuti e su Illeciti Ambientali ad Esse Correlati.”

Nelle conclusioni alla “Relazione Sulle Questioni Ambientali Connesse a Prospezioni, Produzione e Trasporto di Idrocarburi in Basilicata”, la Commissione evidenzia che: “Il nucleo centrale della vicenda giudiziaria ruota intorno a un problema tecnico/giuridico di classificazione dei rifiuti e attribuzione del relativo codice CER sul quale l’autorità giudiziaria, recependo valutazioni consulenziali, fonda la contestazione di uno dei più gravi delitti contro l’ambiente. Le ipotesi formulate dall’autorità giudiziaria inquirente postulano una smentita frontale degli esiti delle attività amministrative di rilascio di autorizzazioni e di controllo sull’attività produttiva: questo implica una rottura prolungata del coordinamento tra valutazione giudiziaria penale, successiva ed eventuale a fronte di illeciti, e ordinaria attività amministrativa.” E conclude: “E’ necessario dunque ripensare il ruolo che in concreto le autorità pubbliche di regolazione e controllo debbono ricoprire, mantenendo un’attenzione costante alla tutela dell’ambiente, associata a qualità scientifica totale e trasparenza massima.”

Questa vicenda lascia in sospeso molti interrogativi che si spera il processo possa dirimere. Intanto se dovesse essere confermata l’accusa di manipolazione dei codici CER ne discenderebbe che l’impianto S.OL.VI.C. di Canosa (consapevolmente o meno lo stabilirà il processo) ha smaltito reflui pericolosi per il cui trattamento non era autorizzato.

Inoltre la determinazione dirigenziale di rinnovo dell’A.I.A. non affronta questa questione, anzi, del coinvolgimento della S.OL.VI.C. nell’inchiesta “Petrolgate” ne parla per la prima volta in Aula Consiliare il sindaco di Canosa durante il Consiglio Comunale del 31 agosto 2020. Fino ad allora nessuno ne aveva avuto contezza. Non la Provincia BAT titolare della vigilanza sull’impianto, non le testate giornalistiche locali (La Gazzetta del Mezzogiorno riporta un comunicato stampa del Comune in cui si parla della vicenda e null’altro), né le associazioni ambientaliste di Canosa (che invece qualche giorno dopo il Consiglio Comunale del 31 agosto, sarebbero state particolarmente attive nella questione ex Filantropica, ne parliamo qui).

Il Comune di Canosa nel frattempo ha impugnato innanzi al TAR di Bari anche la determinazione dirigenziale della Provincia di BAT (nei mesi scorsi era già stato impugnato, sempre innanzi al TAR di Bari, il verbale della terza Conferenza di Servizi del procedimento di rinnovo dell’A.I.A.) in quanto, tra gli altri motivi, si rileva “ l’assenza di prescrizioni del Sindaco di cui agli artt. 216-217 RD n. 1265/1934, da rendere nell’ambito della Conferenza di Servizi ai sensi dell’art. 29 quater comma 6 del D.Lgs 152/06” del tutto trascurando la posizione non favorevole, articolatamente e dettagliatamente motivata, espressa da questo Comune, nell’ambito dell’intero procedimento esperito ( note prot. 18638 del 21/05/2019, prot. 33145 del 16/09/2019, prot. 42302 del 23/11/2019)”.

La vicenda, come tutte le vicende in materia ambientale è particolarmente spinosa e si concluderà nei prossimi anni nelle aule dei tribunali penali e amministrativi.

AGGIORNAMENTO

Il 10 marzo 2021 si è concluso il processo di primo grado “Eni-Petrolgate” innanzi al Tribunale di Potenza. Al termine della camera di consiglio, durata 8 ore, il collegio giudicante ha condannato l’Eni per traffico illecito di rifiuti a una sanzione amministrativa di 700mila euro e alla confisca di circa 44,2 milioni di euro, da cui sottrarre i costi già sostenuti per l’adeguamento degli impianti. Condannati anche i dirigenti dell’Eni a processo, e un funzionario della Regione Basilicata. Assolti 27 imputati, ed esclusa la responsabilità per nove società, assolte per mancanza di prova dell’illecito amministrativo. Tra gli assolti l’amministratore della S.OL.VI.C. di Canosa perchè il fatto non costituisce reato e la società per mancanza di prova dell’illecito amministrativo.

Per saperne di più

Relazione Sulle Questioni Ambientali Connesse a Prospezioni, Produzione e Trasporto di Idrocarburi in Basilicata

Sentenza di 1° grado ENI – Petrolgate

19 settembre 2020 | © Canusium Chronicles

Aggiornato il 7 aprile 2021

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