Il sacco edilizio di Canosa

Nel post “Le grotte di Canosa: un patrimonio perduto” ho parlato, incidentalmente, del sacco edilizio di Canosa avvenuto negli anni 60′-80 del secolo scorso. “Di quei palazzi in larga parte scomparsi “grazie” alla intensa opera di cementificazione del centro cittadino che ne ha cancellato l’architettura ottocentesca, sostituendola con edifici di dubbio gusto estetico. Alla fine di questo indegno processo, per una città con la storia di Canosa, è rimasta l’eredità di un centro città senz’anima in cui palazzoni anonimi la fanno da padrone, punteggiati da quei pochi palazzi storici, scampati alla demolizione, che rimandano ad un passato in cui si faceva a gara per abbellire la città con architetture ricercate.”

Grazie alla cortesia di Pasquale Ieva, che mi ha permesso di utilizzare alcune cartoline del suo archivio, possiamo percorrere questo viaggio nel tempo.

Corso San Sabino | © Archivio Ieva – Canusium Chronicles

La storia nasce tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 quando, il boom economico iniziato nel decennio precedente, spinse tanti cittadini ad abbandonare i “sottani” in cui vivevano per cercare soluzioni abitative più comode e più consone alle mutate condizioni di vita. Nacque così la richiesta di case con volumi maggiori in grado di ospitare comodamente nuclei familiari numerosi. Inizialmente molte abitazioni a piano terra crebbero in altezza aggiungendo così qualche stanza in più al nucleo originale, grazie alla loro costruzione, prevalentemente in tufo, con muri portanti di spessore adeguato a sopportare le soprelevazioni. Uno dei primi caseggiati costruito in via Bovio intorno alla fine degli anni ’50 dette il via al processo di sostituzione edilizia continuato per i successivi quaranta anni circa che, almeno per quel che riguarda il centro cittadino, assunse i connotati di un vero e proprio sacco edilizio.

Il vulnus più grave fu lo stravolgimento di Piazza Boemondo, un angolo di città incastonato tra due palazzi di grande valore architettonico, Palazzo Fracchiolla (ora Minerva, sede del Museo dei Vescovi) e Palazzo Sinesi, con al centro altri due palazzi storici, Rinella di fianco a Palazzo Fracchiolla e Princigalli che, fronteggiando la Villa Comunale, davano alla piazza un aspetto e un respiro unici. Il primo ad essere demolito negli anni ’60 per far posto ad uno stabile di cinque piani fu Palazzo Rinella, seguito all’inizio degli anni ’70 da Palazzo Sinesi per finire con Palazzo Princigalli negli anni ’80. Un vulnus insanabile soprattutto perché si è persa ogni testimonianza dell’imponente Palazzo Sinesi al cui interno, si racconta, i saloni erano abbelliti con importanti affreschi, probabilmente opera di Gaetano Paloscia pittore abruzzese di scuola napoletana famoso per aver lasciato suoi capolavori in importanti case patrizie canosine come lo stesso Palazzo Fracchiolla, Palazzo Rossi in Corso San Sabino e Palazzo Casieri in via Varrone. Perduto per sempre anche il grande giardino che completava, nella parte posteriore, la bellezza del palazzo.

Stessa sorte è toccata a Piazza della Repubblica caratterizzata da uno dei rari palazzi a due piani di fine ottocento presenti a Canosa, Palazzo Pesce, demolito per fare posto ad un edificio che nulla c’entra l’architettura dell’intera piazza.

Negli anni ’80 abitare in condominio, in centro, diventò uno status symbol e così nacque lo stravolgimento di Piazza Imbriani e via Savino di Bari dove la demolizione dello storico palazzo Petroni, di proprietà di una delle famiglie nobili di Canosa, e delle costruzioni adiacenti, permise la costruzione di un enorme complesso edilizio che abbraccia quello che era il giardino privato della famiglia Petroni. Da notare in via Savino di Bari i caratteristici camini che sormontavano i “sottani”.

Piazza Imbriani | © Archivio Ieva – Canusium Chronicles
Via Savino di Bari | © G.M.G. – Canusium Chronicles

Tre fattori contribuirono al sacco edilizio di Canosa: l’insipienza della politica del tempo madre delle commissioni edilizie che esprimevano parere sui permessi di costruire; l’assenza di qualsivoglia intervento della Soprintendenza Archeologica; gli appetiti dei palazzinari e degli eredi delle famiglie nobili che liquidarono in fretta il patrimonio immobiliare costruito con grandi sacrifici dai loro avi

Una classe politica inadatta a governare una città con un simile patrimonio architettonico nominava i tecnici che formavano le Commissioni Edilizie Comunali (C.E.C.) scelti tra ingegneri, architetti e geometri. Il Regolamento Edilizio dell’epoca stabiliva che la C.E.C. “esprime parere obbligatorio … su tutte le questioni di carattere urbanistico ed edilizio riguardanti il territorio comunale; sui progetti delle opere soggette a concessione o ad autorizzazione, salvo i casi di esenzione, sia in ordine alla conformità dei progetti alle norme vigenti, sia in ordine al mantenimento e/o valorizzazione della qualità ambientale; sui piani esecutivi ed attuativi; su ogni ulteriore opera, attività e processo di pianificazione che comportino trasformazione del territorio….” Questa formulazione costituiva il libro dei sogni, in realtà è evidente, alla luce dello stravolgimento della Città, l’incapacità di tecnici e politici dell’epoca nel governare la trasformazione urbanistica di Canosa.

Via Aurelio Saffi ora via Kennedy all’inizio degli anni ’60 | © Archivio Ieva

La Soprintendenza Archeologica dal canto suo era impegnata nell’opera di spoliazione del patrimonio archeologico riveniente dagli scavi edilizi per trasferirlo in altri musei pugliesi, spesso nei sotterranei per mancanza di spazi espositivi, stante la mancanza di un adeguato museo in città. Nessun intervento, al contrario, fu messo in campo per salvaguardare il patrimonio architettonico che, pezzo dopo pezzo, fu condannato alla demolizione.

I costruttori edili dal loro canto avevano individuato la classica gallina dalle uova d’oro: eredi di importanti patrimoni immobiliari, ubicati nei luoghi più appetiti di Canosa, disposti a liberarsene in cambio di rendite costituite da denaro e unità immobiliari allocate nell’edificio che si andava a costruire. Edificare centinaia di appartamenti nelle zone centrali della città si rivelò il business più redditizio di quegli anni e fece la fortuna economica di poche persone a scapito della bellezza perduta per sempre. Una bellezza di cui ci resta il ricordo solo attraverso alcune cartoline d’epoca.

7 maggio 2021 | © Canusium Chronicles

P.S. non sono riuscito a reperire immagini degli anni ’50 di Piazza Terme, prima della costruzioni dei palazzi che oggi la circondano. Se qualcuno tra voi che leggete questo post dovesse averle e volesse contribuire alla completezza di questa ricostruzione può inviarle a canusiumchronicals.com@gmail.com.

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