Lo spopolamento dei piccoli comuni, specialmente al Sud, è uno dei grandi temi indagati ormai da molti anni. La pandemia ha introdotto elementi di novità: il ritorno a casa di lavoratori dei settori più innovativi che grazie allo smart working hanno colto la possibilità di tornare nei loro luoghi di origine per lavorare da remoto. Purtroppo solo pochi comuni sono riusciti a creare un ecosistema in grado di trattenere questi professionisti e Canosa non è tra questi.

Di seguito un’analisi dello stato delle cose e dei trend legati al lavoro da remoto.

Indice dei contenuti

  1. Canosa tra passato e presente
  2. Futuro
  3. Nomadi Digitali
  4. YOLO Economy: si vive una volta sola
  5. South Working: lavorare al Nord, dal Sud
  6. South Learning: la rivoluzione delle seppie

Canosa tra passato e presente

Da oltre venti anni a Canosa si parla di valorizzazione e fruizione del suo sterminato patrimonio storico – archeologico con l’obiettivo di creare un’industria turistica che possa aumentare il benessere economico della Città. Contrariamente a questa enunciazione di principio si continuano a programmare attività mordi e fuggi ben lontane dall’intento di trattenere i turisti a Canosa per creare benefici economici soprattutto per la filiera della ristorazione e dell’accoglienza. Di tanto in tanto, inoltre, si ascoltano anche idee estemporanee tipo una, emersa nei giorni scorsi, secondo la quale la moltiplicazione dei musei permetterebbe un aumento delle presenze di più giorni.

In realtà non è mai stato studiato un modello di business, utile a creare e sviluppare un ritorno economico certo e duraturo, con obiettivi raggiungibili anche nel lungo termine e in grado di posizionare Canosa tra le mete più visitate della Puglia. Eppure, associazioni imprenditoriali, Pro Loco, Fondazione Archeologica ed altri stakeholders, avrebbero dovuto avere ben chiara la necessità di studiare un piano di azione necessario allo sviluppo turistico di Canosa così come avvenuto in altre Città d’Italia. Una mancanza poco comprensibile soprattutto perchè non si è riusciti ad agganciare il trend di incremento delle presenze nel nostro territorio che, grazie ad un’intensa opera di marketing territoriale realizzata dalla Regione, ha portato la Puglia a diventare una delle mete turistiche più ambite in Italia e nel mondo.

Turisti in visita al Parco Archeologico di San Leucio © FB Fondazione Archeologica Canosina

Infine in questi anni si è sempre e soltanto parlato di valorizzazione del patrimonio storico archeologico trascurando altre unicità del territorio che soltanto in questi ultimi mesi hanno ritrovato dignità ed idee di rivalutazione soprattutto grazie agli input lanciati anche da alcuni articoli di questo blog in cui ponevo l’attenzione, ad esempio, sulle grotte, sulla memoria dei palazzi storici ormai demoliti o ancora sui murales che pian piano abbeliscono le nostre strade.

Futuro

Questo lungo preambolo per introdurre la necessità di agganciare un altro treno, forse l’ultimo, che potrebbe portare innovazione, nuove idee e nuovi business. Mi riferisco al nomadismo digitale ed alla necessità di creare un ecosistema in grado di attrarre una fascia sempre più ampia di professionisti che, grazie ad internet, possono lavorare in qualunque posto del mondo.

Questa trasformazione ha subito una accelerazione con l’emergenza sanitaria legata alla pandemia da Coronavirus che ha visto un aumento esponenziale dei lavoratori da remoto. Al momento è possibile osservare quattro grandi trend.

Nomadi Digitali

Ad agosto 2021 si è costituita in Italia l’Associazione Italiana dei Nomadi Digitali, un ente non profit del terzo settore “che punta a promuovere il nomadismo digitale e incentivare la cultura del lavoro da remoto nel nostro Paese, con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita dei lavoratori, attrarre in Italia professionisti nomadi digitali da tutto il mondo e generare un impatto socio-economico positivo sui nostri territori.” Dal primo rapporto sul nomadismo digitale in Italia, elaborato dall’Associazione, emerge un profilo definito ben definito dei Nomadi Digitali: “compresi nella fascia 30-49 anni (64 per cento), gli over 50 (27 per cento) e solo dopo gli under 30 (9 per cento). Indipendenza e flessibilità sembrano essere gli obiettivi di chi è già un nomade digitale e anche di chi vorrebbe diventarlo visto che, tra gli intervistati, a fronte di un 23 per cento di coloro che si dichiarano nomadi digitali c’è addirittura un 64 per cento di persone che sogna di esserlo.” L’Associazione ha creato un sito web ricco di spunti e consigli pratici per che è o vuole diventare un lavoratore da remoto. Infine alcuni studi prevedono un miliardo di nomadi digitali, nel mondo, entro il 2035.

Festival dell’Ospitalità 2021 © FB Nomadi Digitali

YOLO Economy: si vive una volta sola

Un altro impatto della pandemia sul mondo del lavoro è l’affermarsi della YOLO Economy, acronimo di You Only Live Once (si vive solo una volta): lavoratori che scelgono di mollare il posto fisso per seguire la propria passione e farne il lavoro della vita, spesso lontano dai grandi centri. Kevin Roose, sul New York Times, ha teorizzato il fenomeno negli States, individuandone il pilastro fondamentale: prendere decisioni audaci e non aver paura di esporsi ai rischi, perché se si vive una volta sola – e la pandemia ce l’ha insegnato – allora tanto vale tentare subito. Il fenomeno interessa soprattutto millenials e generazione Z, nati tra gli anni ’80 del ‘900 ed inizio 2000, che abbandonano il posto fisso per avviare attività in proprio legate soprattutto alla rete. Numeri più piccoli ma comunque importanti in Italia dove protagonisti della YOLO Economy sono anche quarantenni in cerca di una nuova way of life. Sulla stampa italiana se ne è parlato, tra gli altri, su Forbes Italia, Startup Italia e Money.it. Secondo i dati del Ministero del Lavoro, riferiti al secondo trimestre 2021, sono oltre 480.000 i lavoratori italiani che hanno presentato dimissioni volontarie al proprio datore di lavoro.

South Working: lavorare al Nord, dal Sud

Uno dei più grandi problemi che affligge il Mezzogiorno d’Italia è la fuga di cervelli, giovani laureati nelle università del Sud o giovani del Sud laureati nelle università del Nord che lavorano ed arricchiscono, con le loro competenze, aziende ed Enti pubblici in Nord Italia o all’estero. Secondo l’Istat «sono stati 899mila gli italiani trasferiti all’estero negli ultimi 10 anni. Di questi 208mila (il 23%) sono in possesso almeno di una laurea». La pandemia ha creato un viaggio inverso: il ritorno nelle città di origine per lavorare in smart working. Il fenomeno è studiato e raccontato su southworking.org da “giovani professionisti, manager, imprenditori e accademici, perlopiù provenienti dalle regioni del Sud Italia, accomunati dall’essere stati costretti a dover abbandonare i nostri luoghi di origine e i nostri affetti per poter seguire le nostre ambizioni professionali. Oggi siamo uniti dalla voglia di poter lavorare da dove vogliamo.” Un’indagine realizzata da Svimez e Fondazione con il Sud ha evidenziato che l’85,3% degli intervistati (il sondaggio ha coinvolto 1860 lavoratori) ha sostenuto che andrebbe a vivere al Sud se potesse mantenere il suo posto di lavoro e lavorare a distanza.

Presidio di Comunità © FB South Working

South Learning: la rivoluzione delle seppie

Una delle storie più interessanti di questi ultimi tempi viene da Belmonte Calabro dove nove studenti di architettura della London Metropolitan University ne sono diventati abitanti temporanei per tre mesi così da poter continuare la loro ricerca sulla cittadina, direttamente sul territorio. Una sorta di favola del XXI secolo raccontata dal blog La Rivoluzione delle Seppie, gli ideatori del progetto. Casa di Belmondo è uno spazio di Coworking di Belmonte Calabro che ha permesso agli studenti inglesi “di sviluppare progetti ideali per contesti reali, confrontandosi giornalmente non solo con professionisti, che hanno diverse esperienze, ma anche con persone del luogo di diversa età e background culturale. L’iniziativa consente, dunque, agli studenti di usufruire a Belmonte Calabro di tutti quei servizi che l’università di solito offre, come l’uso di spazi per lavorare insieme e confrontarsi o l’uso di laboratori per sperimentazioni con materiali specifici.”

La pandemia, come tutti gli eventi che hanno un impatto negativo importante, modificando economia, stili di vita e abitudini consolidate ha portato nuove opportunità, soprattuto nel mondo del lavoro. Intercettare queste opportunità, come abbiamo visto, permette la creazione di nuova economia e sono tantissime le nazioni e le città che si stanno attrezzando per attrarre smart workers da tutto il mondo.

(1. continua)

23 novembre 2021 © Canusium Chronicles

3 risposte a “Canosa tra passato, presente e futuro #1”

  1. […] Nella prima parte di questo lungo post ho raccontato i cambiamenti epocali che la pandemia da Coronavirus ha portato nel mondo del lavoro con l’incremento esponenziale dei lavoratori da remoto. Questa crescita ha generato nuove opportunità per quei territori che hanno saputo creare ecosistemi in grado di semplificare la vita di chi lavora lontano dal suo datore di lavoro. Ovviamente smart workers e nomadi digitali non sono la stessa categoria di lavoratori ma in questo momento è utile accomunarli per semplificare il racconto. […]

  2. […] post “Canosa tra passato presente e futuro #1” e “#2”. Si possono leggere qui e […]

  3. […] tema, e dell’impatto che potrebbe avere sullo sviluppo di Canosa, me ne sono occupato in due post “Canosa tra passato presente e futuro #1” e […]

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