Gli anni ’80 del secolo scorso furono anni di grande espansione edilizia a Canosa. In una città a lunghissima continuità di insediamento, la costruzione di fondamenta per i nuovi complessi residenziali comportò il ritrovamento di importanti ipogei, alcuni completi del loro corredo funerario. La scoperta di ipogei non depredati dall’incessante opera dei tombaroli, ha permesso di approfondire le conoscenze dei riti funebri e della disposizione dei ricchi corredi all’interno delle tombe. In quel periodo, inoltre, nacque un segno distintivo di Canosa: la presenza di ipogei di grande interesse storico, negli scantinati di imponenti complessi edilizi .


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La scoperta
L’Ipogeo del Vimini fu scoperto il 21 marzo 1980, durante i lavori di trivellazione per la costruzione di un complesso edilizio, nei pressi del Battistero di San Giovanni, un’area di grande interesse archeologico. In quella zona, a poca distanza dal “Vimini”, è presente anche l‘Ipogeo Scocchera B. L’intero complesso tombale, risalente ai primi anni del IV secolo a.C., era ricavato interamente nel banco tufaceo tenero. Il dromos, costituito da una ripida scala dì sette gradini, conduceva a due celle: la cella principale (A) e una cella secondaria (B) ricavata in una fase successiva. Entrambe le celle erano ancora chiuse da pesanti lastroni di tufo, ricalzati da schegge tufacee e da pani di argilla che ne assicuravano una chiusura ermetica. Grande sorpresa destò presenza di elementi di materiale deperibile, come cuoio e vimini, tra questi una splendida treccia di vimini adagiata su un’olla daunia. “Quello che ci sorprese furono i “vimini” perfettamente conservati poiché la tomba era stata sigillata con l’argilla, quindi durante i secoli non penetrarono né aria né terriccio. Sapientemente intrecciati e, meraviglia, intatti, i “vimini” hanno forma circolare, diametro 9-10 cm. e sembrano dei sottobicchieri moderni.” (contributo di Mario Pazzano, restauratore del MARTA, in un commento sulla pagina Facebook di Canusium Chronicles)

La Cella A
“La cella A, dalla volta a botte, era accessibile attraverso un gradino che consentiva di superare agevolmente il dislivello tra il piano del vestibolo e quello interno della ceIla, posto circa 50 cm più in basso. Su ciascuna delle pareti erano incisi dei rettangoli di dubbio significato. La cella conteneva un’unica deposizione, con lo scheletro nella metà destra, disposto secondo l’asse maggiore, con la testa verso il fondo (est) e i piedi verso l’ingresso (ovest). Il tronco era in posizione supina, le gambe flesse, il braccio destro disteso e parallelo al busto, quello sinistro leggermente flesso, con la mano poggiante sul bacino. Le ossa, in perfetta connessione anatomica, erano calcificate, il cranio risultava in pessime condizioni. Accanto allo scheletro, al centro della cella, fu rinvenuto uno spesso strato di cenere grigia e sotto c’era uno spesso strato carbonioso conservante ancora numerosi ceppi di legno, solo in parte carbonizzati. Si tratta, evidentemente, dei resti di una pira sacrificale con offerte in onore del defunto, che ne ha provocato la cremazione in situ.



La maggior parte degli oggetti di corredo, 71 pezzi, e le ultime offerte rituali devono essere stati deposti in un secondo momento dopo l’esaurimento della pira. Tra le ceneri di quest’ultima furono recuperati numerosi ossi calcinati, appartenenti, probabilmente, ad un animale sacrificale, ed una coppia di morsi equini di bronzo, con resti di corregge di cuoio. Nella stessa zona fu raccolto un puntale di ferro molto allungato. Ai limiti della zona bruciata, verso la porta, era stato deposto, nell’ultima fase del rito funebre, un askos ad anatrella, formato da fibre vegetali intrecciate. Il resto del corredo era situato in due punti distinti: ai piedi del defunto e alla sua destra, nella metà nordorientale della cella. Il prima gruppo, posto immediatamente a destra dell’ingresso, comprendeva oggetti pertinenti al focolare e al banchetto: spiedi e alari di ferro, un mestolo, un oinochoe, un olpe e un bicchiere di bronzo; infine numerosi vasi da mensa di terracotta. A questo gruppo si ricollega il calderone di bronzo su tre piedi di ferro posto, isolato, nell’angolo opposto della cella, a sinistra dell’ingresso. Il secondo gruppo di oggetti era costituito soprattutto da fittili. Di notevole interesse è, tuttavia, la presenza di una treccia di vimini su un’olla daunia, di un ceppo di legno all’interno di un vaso a fruttiera e, soprattutto, di tre patere di bronzo, allineate lungo la parete lunga contenenti frammenti di cortecce odorose, coperte da dischi composti da fibre vegetali. Infine, all’interno di altri vasi, più vicino alla zona della pira, è stata accertata la presenza di polvere d’osso calcinato, proveniente certamente dalla pira sacrificale.” Ettore Maria de Juliis da “Principi Imperatori Vescovi – duemila anni di storia a Canosa” © Marsilio Editore
La Cella B
“La cella B, a volta piana, conteneva due deposizioni; gli scheletri erano collocati lungo le pareti lunghe, con i piedi verso l’ingresso, e la testa verso il fondo (sud). Lo scheletro di destra appariva quasi totalmente distrutto dal crollo di pietre della volta in seguito alla perforazione che ha portato alla scoperta. Lo scheletro di sinistra presentava una posizione analoga a quello della cella A. Anche le ossa di questo scheletro, dall’esame di laboratorio, sono risultate esposte a temperature più o meno elevate, che le hanno calcinate e carbonizzate. Come nella cella A è attestata quindi una cremazione o una semi cremazione del cadavere in situ, con un rito funebre distinto in due tempi. Anche in questa cella sono presenti ampie zone del battuto pavimentale coperte da resti di cenere o di frammenti lignei semi carbonizzati, appartenenti. ad una o più pire, parzialmente eliminati dopo la fase di cremazione per fare posto ai numerosi oggetti di corredo delle due deposizioni.


Il corredo della deposizione di destra (52 pezzi) comprendeva alcuni oggetti strettamente pertinenti al cadavere e ad esso vicini: una cuspide di lancia ed un puntale di ferro, un cinturone di bronzo ed altri due oggetti metallici. La maggior parte del corredo era posta, però, anche in questo caso ai piedi dei defunto, nell’angolo anteriore destro della cella, e consisteva in vasi fittili e di bronzo, in 4 spiedi di ferro e in altri oggetti di bronzo. Infine un piccolo nucleo di sette vasi era collocato nella zona centrale della cella, a destra e non lontano dal defunto. Il corredo della deposizione di sinistra, comprendente 81 pezzi, era formato da ceramiche, oggetti di bronzo e ferro. Accanto allo scheletro e aderenti alla parete della cella si trovavano una cuspide di lancia di ferro e un cinturone di bronzo, mentre sullo scheletro erano adagiati quattro spiedi di ferro. Ai piedi del cadavere, nell’angolo anteriore sinistro della cella, era stata collocata la maggior parte del corredo, comprendente ceramiche, recipienti di bronzo e strumenti di ferro. Un secondo, piccolo gruppo di oggetti era collocato a sinistra dello scheletro, verso il centro della cella e comprendeva vasi fittili di piccole dimensioni.” Ettore Maria de Juliis da “Principi Imperatori Vescovi – duemila anni di storia a Canosa” © Marsilio Editore
Il corredo funerario
L’imponente corredo funerario fu studiato, analizzato e restaurato, e successivamente esposto al Museo Archeologico Nazionale di Taranto. Sino al 23 luglio 2023 è esposto in “Antichi Popoli di Puglia. L’archeologia racconta” la mostra allestita nelle sale del Castello Svevo di Bari. Di questa mostra ne avevo parlato con l’arch. Roberto Cremascoli, curatore dell’allestimento, in Follow me! il più iconico progetto di rigenerazione urbana di Canosa diventa realtà: al via il cantiere del C.Ur.A.. Nel viaggio attraverso le più importanti scoperte archeologiche della Puglia, sono esposti due corredi funerari provenienti da Canosa: l’Ipogeo del Vimini e la tomba a fossa 1/89 di Contrada Toppicelli.







L’ipogeo al momento non è visitabile. Nel 2021, una sua parte, è entrata a far parte del patrimonio della Fondazione Archeologica Canosina grazie alla donazione di Gerardo e Domenico Lenoci, comproprietari dell’area di ritrovamento. Affinché possa essere aperto al pubblico la FAC ha avviato un progetto di valorizzazione e fruizione che dovrebbe concludersi nell’estate 2023.
Sabino D’Aulisa © Canusium Chronicles 14 aprile 2023
Bibliografia
Raffaella Cassano (a cura di) “Principi Imperatori Vescovi – duemila anni di storia a Canosa” © 1992 Marsilio Editori s.p.a. in Venezia
Ettore Maria de Juliis “Le attività della Soprintendenza Archeologica della Puglia nel territorio Daunio”
Grazie
Alla Direzione Regionale dei Musei di Puglia per avermi permesso di fotografare il corredo funerario dell’Ipogeo del Vimini esposto all’interno della mostra “Antichi Popoli di Puglia. L’archeologia racconta” allestita nelle sale del Castello Svevo di Bari.